Renzi: “il mio piano in 1000 giorni per scardinare il sistema”; Putin:”prendo Kiev in due settimane”.
Le due dichiarazioni compaiono una di fianco all’altra nelle prime pagine dei giornali. Gli obiettivi con tutta evidenza contrastano sia per la potenza evocata che per i termini temporali. Renzi, in quanto premier della nazione che ha la presidenza del semestre europeo, si trova, anche se solo formalmente, a dover fronteggiare in prima persona la minaccia di Putin verso l’occidente.
Le strategie comunicative e le situazioni in cui si trovano i due contendenti sono diametralmente opposte.
Renzi è nella situazione di dover rilanciare un paese in crisi: economica, sociale, culturale. Putin, dopo aver stabilizzato la situazione politica interna cerca di cementare l’opinione pubblica e di zittire le voci di dissenso interne ricompattando i governati intorno al nazionalismo, alla minaccia di attacchi esterni e alla grandeur imperialistica.
Reduce da una stagione di marketing politico berlusconiano fatta di negazione del reale in difesa dell’esistente, Renzi intercetta il desiderio di cambiamento radicale emerso nella politica italiana e se ne fa portavoce. Si pone sempre in prima persona portando proposte forti, scommesse quasi irrealizzabili, promesse di stravolgimenti che fanno presa sulla stanchezza di una popolazione quasi esausta. Procede per slogan semplici, li aggiorna ogni due o tre mesi, pone limiti temporali e tabelle di marcia, costruisce siti per monitorare e dare conto del progresso delle riforme da lui volute e concretizzate. In realtà molti dei progetti annunciati vengono moderati, abbandonati o rivisti a causa dei necessari compromessi con le altri parti politiche e con la realtà dei fatti; il continuo rilancio di nuovi slogan e progetti serve appunto a coprire la possibile delusione per la non piena realizzazione di quelli passati.
Putin, nell’eterno ritorno che è la storia russa, ripercorre le tappe che furono dell’Unione Sovietica. Il crollo di regime seguito alla caduta del muro di Berlino ha precipitato la Russia nella crisi politica ed economica, con cessione di territori appartenenti alla federazione e perdita di influenza sulle “democrazie popolari”dell’Europa Orientale. Putin, che dell’ URSS è figlio in quanto ex agente KGB, è riuscito a porre un freno all’anarchia economica riportando sotto il controllo diretto o indiretto dello stato tutte le principali attività ed industrie, soprattutto quelle legate alle materie prime. Ha ridato stabilità politica ristabilendo in modo “velato” il partito unico, permettendo cioè la presenza sulla scena politica del proprio partito maggioritario e di partiti alleati o comunque accondiscendenti alla linea di governo, reprimendo in modo anche violento l’opposizione vera. Ha creato consenso e attaccamento alla propria figura proponendosi come leader forte e paladino di un nuovo nazionalismo russo che mira a recuperare alla nazione e a proteggere tutti i russi al di fuori dei confini nazionali.
Nella sua azione propagandistica, al contrario di Renzi, non si pone in prima persona negli annunci più delicati o nella diffusione delle idee più estreme (sulla censura, sull’omofobia, sulle provocazioni verso l’esterno), ma fa lanciare ballon d’essai a personaggi minori del proprio entorurage, o governo, e valuta le reazioni della popolazione. Quando questa è negativa provvede a riprendere pubblicamente il sottoposto fino ad eliminarlo dalla scena politica ma intanto ottiene l’effetto di aver instillato nell’opinione pubblica la nuova idea lasciando che questa si abitui e piano piano la accetti.
La ricerca del consenso di Putin non si basa sul continuo rilancio di promesse, ma sulla dimostrazione di forza, sul desiderio della nazione di tornare una potenza, a livello dell’impero zarista o dell’URSS. Per fare questo ha recuperato due leit motiv della storia russa: l’assedio delle potenze occidentali, la necessità di una zona di protezione, di una sorta di cuscinetto, che tuteli la sicurezza della Russia rispetto ai pericoli provenienti da Ovest.
L’Ucraina, la Bielorussia, gli stati baltici, in quanto popolati in gran parte da russi e storicamente appartenenti all’impero, devono rientrare secondo l’ottica putiniana di potenza a pieno diritto sotto la proprietà o almeno l’influenza della Russia; la ferma opposizione delle nazioni occidentali raggruppate nella NATO, la loro rivalsa attraverso il boicottaggio economico, dimostrano in modo evidente le ragioni della Russia, il timore che questa provoca, e quindi il riconquistato ruolo di potenza internazionale.
L’assedio dei soldati ucraini, finanziati dalle nazioni occidentali, alle città dell’est dell’Ucraina a maggioranza russa, nel revival storico riportano alla vita gli assedi e le invasioni subite dall’URSS da parte dei nazisti nel corso della seconda guerra mondiale. Per questo gli ucraini vengono definiti nazisti, e la guerra non è più civile, come dopo la prima guerra mondiale, ma partigiana, come durante la seconda.
Che questo parallelo storico sia reale lo dimostrano le appartenenze dei volontari sui due fronti della guerra ucraina. L’esercito ucraino è coadiuvato da formazioni paramilitari di estrema destra e da militanti post-fascisti di tutta Europa, tra i quali alcuni italiani aderenti a Casa Pound. Sull’altro fronte si trovano volontari anti-fascisti , giunti dai centri sociali di sinistra per combattere i nazisti sull’altro fronte, e giovani nostalgici sovietici con i tatuaggi di Lenin e Stalin, che si propongono di difendere il popolo russo ed i civili filorussi dall’invasione violenta delle potenze occidentali.
Si confrontano, simbolicamente, due modi di fare politica diversi per obiettivi e per stile: la politica 2.0 di Renzi, nuova e contemporanea, fatta di immagine, di comunicazione, di pubblicità, di costruzione di un mondo virtuale come promessa di un futuro migliore, la cui utopia è negata dal preciso e dettagliato programma di riforme; la politica tradizionale ed otto/novecentesca di Putin, costruita sull’idea di nazione, di impero, di zone di influenza, di conquista e di geopolitica, di mentalità cicliche e ricorrenti che caratterizzano lo spirito di un popolo.