L'uomo povero può essere il nuovo animale domestico.

La società si sta polarizzando, è un dato di fatto. Una percentuale sempre minore di persone detiene una percentuale sempre maggiore della ricchezza, sia a livello nazionale che globale. Aumenta la forbice tra ricchi e poveri, tra chi non sa come spendere i propri soldi e chi non ne ha quasi nemmeno per i bisogni fondamentali.

Si assiste per questo motivo a contrasti notevoli e stridenti: persone che fanno la fila alla mensa per i poveri, perché non sanno come procurarsi da mangiare; una classe media distrutta che vede andare in rovina il proprio tenore di vita ed è costretta nella vergogna a rinunce sui consumi; una classe elevata che arriva ad estremi parossistici di affetto verso il proprio animale domestico.

Esistono ristoranti, hotel, parrucchieri, negozi di vestiti per i cani; i gatti vengono viziati e coccolati con giochi, mobili, cibo raffinato, scatolette e croccantini costosissimi. Per loro si ha l’attenzione che si darebbe non ai figli, ma ai propri nipoti.

Intanto il 99% povero si arrabatta in una melma informe per cercare di sopravvivere, senza lavoro, senza motivazioni, senza voglia, guardando da lontano un mondo dorato ed irraggiungibile.

Ho riflettuto a lungo su questa nuova condizione umana, sule prospettive che mi si pongono davanti, sul da farsi per riuscire a scamparla in questa spietata jungla.

E ho notato che ho tutte le caratteristiche per poter fare l’animale domestico. Devo solo riuscire a propormi, e trovare qualcuno che voglia adottarmi.

Non so fare nulla, quindi in casa sarei completamente inutile; potrebbero insegnarmi a fare lavoretti e faccende, ma non voglio imparare. Non credo abbiate mai visto un cane od un gatto che lavano, stirano, cucinano, dipingono la casa, aggiustano i piccoli guasti idraulici, cambiano le lampadine.

Starei in casa, una presenza fissa e costante, ma non ingombrante. Darei il vantaggio di scoraggiare eventuali ladri, rispondere al telefono ed ai venditori, dare al padrone di casa la certezza di non essere da solo quando torna dal lavoro. Non sarei invadente, non farei feste come un cane, me ne starei per i fatti miei come un gatto, e mi farei vedere solamente se cercato, o se avessi bisogno di qualcosa (farmi lavare una maglia, farmi comprare qualcosa che mi serve, farmi dare un po’ di soldi per esigenze varie).

Il padrone potrebbe parlarmi se ne ha voglia, di quello che vuole (chiaramente ho l’obbligo di cercare di essere preparato sugli argomenti di suo interesse), o farsi bastare la mia muta compagnia; oppure utilizzarmi come intrattenimento, una specie di giullare medievale, pronto a far ridere con gag e battute.

Non avrei grandi esigenze, mi basta mangiare 3 volte al giorno, avere un televisore grande sul quale vedere la tv satellitare, un po’ di soldi per comprare libri, portatile, smartphone. Non so nemmeno vestirmi da solo, quindi sarei completamente succube del gusto estetico di chi si prende cura di me. Accetto volentieri cibi raffinati ed hotel, posso entrare in tutti i locali, non sporco particolarmente e sono disordinato sì, ma ritrovo sempre tutto.

Sono autonomo, posso portarmi da solo dal veterinario, o dal medico, so guidare e posso fare da autista; inoltre posso fare la spesa, scaldare vivande (con l’aiuto di un forno), andare in posta ed in banca.

In un mondo giusto e socialdemocratico avrei una badante, ma in questo medioevo contemporaneo occorre diventare una via di mezzo tra un cicisbeo ed un giullare, per potere sopravvivere.

Posso dare tanto (affetto no, fatico a trovare qualcosa di buono da dare…) (tanta presenza?), in cambio chiedo solo di essere mantenuto.

disoccupazione: dall'utopia al dramma della società italiana

In Italia il livello della disoccupazione è arrivato al 12.6%, con una media di mille posti di lavoro bruciati al giorno nel mese di Luglio.

Ad una base di persone che sono entrate nel mondo del lavoro con un contratto a tempo indeterminato, che hanno quindi un’occupazione garantita e sicura, si aggiunge la popolazione più giovane che ha conosciuto e conosce solamente contratti a tempo determinato, a progetto e assunzioni in regime di libera professione, non garantiti e flessibili.

Il fossato che divide le due categorie, ben distinte per età, tutele e salari, è evidenziato dalla statistica del 42.7% di disoccupazione tra gli under 25: mentre le aziende cercano con tagli, chiusure, cassa integrazione di liberarsi dei primi che sono più costosi e più difficili da smaltire, con i secondi hanno vita facile e maggiore elasticità.

Come può evolvere questa situazione? Tutto il processo di meccanizzazione e di robotizzazione del lavoro (agricolo o industriale che sia) ha avuto come obiettivo e come sogno quello di liberare l’essere umano dalla fatica del lavoro fisico. Il tutto per raggiungere una società ideale dove le macchine lavorano e l’uomo può dedicarsi all’ozio ed all’attività intellettuale o “spirituale” allo scopo di migliorare se stesso e la vita nel suo complesso.

Man mano che il processo va avanti questo progetto si sta realizzando, la manodopera è sempre meno necessaria nei campi, nelle fabbriche e, con lo sviluppo dell’informatica, nel settore terziario. Ormai l’uomo non ha più necessità di prestare la propria forza fisica ricevendone in cambio un salario, ma ha ridotto i suoi compiti a manovrare e programmare le macchine e  supervisionare i processi produttivi.

Chiaramente questa diminuita necessità della presenza umana ha a sua volta limitato drasticamente l’esigenza di avere persone fisiche nei luoghi di lavoro, con una conseguente disoccupazione, che fa fatica ad essere riassorbita dai settori che richiedono ancora capacità non sostituibili dalla “macchina”.

Queste competenze riguardano le peculiari abilità manuali ed intellettive dell’uomo: l’artigianato, il design, la moda, la cultura, la programmazione, il marketing, la ricerca. Insomma attività dove non contano la riproducibilità e la velocità di esecuzione. Ma non tutti i 7 miliardi di persone che abitano la terra, e nemmeno tutti i 61 milioni di italiani hanno delle caratteristiche o abilità particolari, o delle specializzazioni che li rendano unici ed appetibili per il nuovo mercato del lavoro.

Del lavoratore volenteroso, non specializzato, che fornisce la propria indistinta e non qualificata manodopera nessuno sa più cosa farsene: nei settori dove è più conveniente far produrre all’uomo in catena di montaggio che al robot, la lotta per il posto di lavoro è sottoposta ad un’enorme pressione competitiva, sia per l’immigrazione (in Italia), sia per la presenza di paesi che offrono manodopera a bassissimo costo e spingono alla delocalizzazione.

Gli unici che hanno un mercato o un’occupazione sono dunque i consulenti, i lavoratori in proprio, i tecnici specializzati, i laureati con competenze specifiche ed utili al momento economico in cui si trovano. Per gli altri c’è la disoccupazione o l’occupazione parziale, e sarà sempre peggio.

Cosa fare di questa massa di disoccupati? Perché possano dedicarsi all’ozio ed al miglioramento di loro stessi è necessario che vengano in un qualche modo mantenuti dallo stato. Sarebbe necessario perciò un mutamento del paradigma politico verso una robusta redistribuzione del reddito che sfocia in una vigorosa socialdemocrazia o in una forma di socialismo quasi utopico. Nel caso chi si occuperebbe di guadagnare per tutta la collettività? Se si nazionalizzassero tutte le attività produttive, come dimostrano gli esempi storici, cadrebbe la spinta all’innovazione e la varietà di offerta al consumatore. Se si lasciasse l’iniziativa ai privati, con che spirito questi, ed i pochi lavoratori dipendenti, lascerebbero la gran parte  dei capitali guadagnati allo stato perché li ridistribuisca?

Un’altra soluzione è non lasciarli in ozio, ma giustificare in un qualche modo la rendita di sussistenza che andrebbero a percepire. Alcuni potrebbero essere riconvertiti al settore turistico-culturale, uno dei pochi punti di forza sfruttabili dall’Italia, ma quest’ultimo non è abbastanza vasto da assorbire la totalità della popolazione attiva. Gli altri dovrebbero keynesianamente scavare buche e ririempirle, a detrimento della produttività e di un sana competitività economica.

La terza soluzione, quella attuata per ora, è lasciarli al loro destino, sperando che riescano a sopravvivere con le rendite familiari accumulate nei decenni precedenti, e lasciare che siano carne da macello per i talk show che ne spettacolarizzano il dolore. Intanto li si stordisce con promesse di nuovi boom economici impossibili da ottenere, e di riforme  che l’attuale governo non riesce a realizzare se non in minima e ridottissima parte.

In conclusione?  Non ne ho idea, ma ritengo che la situazione non possa che peggiorare, a meno di svolte clamorose e radicali; e che, per chi come me non sa fare nulla, i tempi si faranno sempre più bui.